Linfomi di Hodgkin

“Linfoma” è il nome di un gruppo di tumori che prendono origine dal sistema linfatico. Non è una singola malattia ma un gruppo eterogeneo con caratteristiche epidemiologiche, istologiche, modalità di presentazione e approccio terapeutico. I due tipi principali sono il linfoma di Hodgkin (LH) ed il linfoma non Hodgkin (LNH). Nell’ultima classificazione della WHO (World Health Organization) del 2008 si annoverano 2 forme di LH e più di 40 tipi di LNH.

Il nostro Centro è membro della Fondazione Italiana Linfomi (FIL, www.filinf.it).

Epidemiologia

In base ai dati dell’AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori) nel periodo 1998-2002 il linfoma di Hodgkin (LH) ha rappresentato lo 0,5% di tutti i tumori diagnosticati e ha causato lo 0,2% del totale dei decessi per cancro in entrambi i sessi. In media, ogni anno, vengono diagnosticati circa 4 casi ogni 100.000 uomini e 3 casi ogni 100.000 donne.

Il LH è raro nei bambini, ma rappresenta la neoplasia più comunemente diagnosticata negli adolescenti di età compresa tra i 15 ed i 19 anni. Nei Paesi occidentali si osservano due picchi di incidenza: con un primo nella popolazione di adolescenti e giovani adulti (tra i 15 e i 35 anni d’età) ed il secondo nei pazienti con più di 55 anni.

Eziologia

Al momento attuale le cause del LH non sono state ancora chiarite, ma si conoscono diversi fattori predisponenti, quali il virus di Epstein-Barr (EBV, lo stesso agente causale della mononucleosi), condizioni di disregolazione del sistema immunitario, come la presenza di malattie autoimmuni o stati di immunodeficienza, l’esposizione ad alcune sostanze tossiche. I dati epidemiologici relativi alla diversa incidenza della malattia in diverse regioni geografiche e le segnalazioni di famiglie con più membri affetti implicano l’associazione tra fattori ambientali e genetici nella patogenesi del LH.

Caratteristiche istologiche

Secondo la classificazione WHO (World Health Organization) del 2008, il LH viene distinto nella forma classica (95% dei casi), a sua volta suddiviso nelle varietà a sclerosi nodulare, a cellularità mista, deplezione linfocitaria e ricca in linfociti, e la forma a predominanza linfocitaria nodulare (5% dei casi). La caratteristica morfologica peculiare del LH è la presenza delle cellule di Hodgkin e di Reed-Sternberg nella forma classica (Figura 1) e delle cellule lymphocyte-predominant (un tempo chiamate cellule istiocitiche-linfocitiche) nella forma a predominanza linfocitaria nodulare, nel contesto di un infiltrato infiammatorio di tipo reattivo (linfociti, neutrofili, eosinofili, monociti e macrofagi).

Figura 1. Linfoma di Hodgkin classico, cellule di Reed- Sternberg in una biopsia linfonodale.

Manifestazioni cliniche

Nel 70-80% dei casi di LH la prima manifestazione clinica è una tumefazione linfonodale indolente nella regione del collo, in sede laterocervicale o sovraclaveare, senza sintomi di accompagnamento. Nel 60% dei casi si riscontra il coinvolgimento dei linfonodi del mediastino. Il mediastino è lo spazio toracico compreso tra le due cavità pleuriche ed è delimitato anteriormente dallo sterno, posteriormente dalla colonna vertebrale, lateralmente dalle pleure mediastiniche, superiormente comunica direttamente con le fasce cervicali attraverso uno spazio definito “stretto toracico superiore” ed inferiormente è delimitato dal diaframma. La presenza di una massa mediastinica può determinare sintomi compressivi, compromettendo le vie aeree, quali tosse stizzosa, dolore toracico, dispnea (“fame d’aria”), o sintomi correlati alla compressione dei vasi, ovvero la sindrome della vena cava superiore, caratterizzata da congestione ed edema del tessuti del capo, del collo, della parte superiore del torace e degli arti superiori (edema a mantellina), talvolta associata a trombosi venosa. Dalla sede iniziale la malattia tende a diffondersi in senso assiale, interessando per contiguità le sedi linfonodali vicine. La diffusione ad organi extra-linfatici (scheletro, polmone, fegato), molto rara all’esordio ma più frequente negli stadi più avanzati, avviene per estensione diretta della massa linfonodale o per disseminazione attraverso il sangue.

Circa il 40% dei pazienti presenta alla diagnosi sintomi sistemici definiti “sintomi B”, quali febbre intermittente, sudorazioni profuse, soprattutto notturne e perdita di peso (non secondaria a diete). Altri sintomi sono il prurito generalizzato (talora di notevole entità), la spossatezza e il dolore in sede di localizzazione linfonodale di malattia scatenato dall’assunzione di alcol, che compare in meno del 10% dei pazienti.

Diagnosi, stadiazione e definizione dei fattori prognostici

Per la diagnosi iniziale di LH è essenziale eseguire una biopsia escissionale di un linfonodo o di una sede extra-linfonodale sospetti per localizzazione di malattia.

Per “stadiazione” si intende la valutazione dell’estensione della malattia. Le metodiche strumentali utilizzate sono la radiografia del torace, la TC del collo-torace-addome (tomografia computerizzata) con mezzo di contrasto, la PET/TC (tomografia ad emissione di positroni combinata con la TC) e la biopsia osteomidollare. Queste indagini permettono di definire lo stadio della malattia, secondo il sistema di stadiazione di Ann Arbor, che prevede uno STADIO I in caso di interessamento di un solo linfonodo o di una sola stazione linfonodale; uno STADIO II in caso di interessamento di due o più stazioni linfonodali, tutte al di sopra o sotto il diaframma; STADIO III in caso di interessamento di stazioni linfonodali sia sopra che sotto il diaframma; STADIO IV in caso di interessamento di strutture extra-linfatiche (Figura 2).

Figura 2. Sistema di stadiazione di Ann Arbor.

In base alla presenza dei sintomi B lo stadio viene ulteriormente distinto in A (assenza dei sintomi) o B (presenza dei sintomi). Il termine Bulky viene usato per identificare una massa tumorale di grandi dimensioni (linfonodali superiori ai 10 cm o allargamento mediastinico maggiore di un terzo del diametro toracico). Gli stadi I e II vengono definiti stadi iniziali, mentre il III e IV sono gli stadi avanzati. Alla diagnosi vengono inoltre eseguite altre indagini volte a indagare la funzionalità d’organo, quali esami ematochimici e sierologici (emocromo con formula, funzionalità epatica e renale, indici di flogosi quali VES e PCR, profilo proteico, LDH e b2microglobulina, test di gravidanza nelle donne in età fertile); elettrocardiogramma ed ecocardiogramma e prove di funzionalità respiratoria (spirometria). Prima di iniziare la chemioterapia, se le condizioni cliniche lo permettono, viene offerta la possibilità di eseguire la conservazione della fertilità (crioconservazione del seme; conservazione del tessuto ovarico o crioconservazione degli ovociti) (Tabella 1).

Tabella 1. Procedure di stadiazione e work-up iniziale raccomandato nei pazienti con linfoma di Hodgkin

I principali fattori prognostici sfavorevoli del LH sono, negli stadi iniziali, l’età superiore a 50 anni, la VES (superiore a 50 mm/h alla diagnosi), la presenza di sintomi B, la presenza di masse bulky, coinvolgimento di più di 3 regioni linfonodali; mentre, negli stadi avanzati, sono considerati fattori sfavorevoli l’età superiore a 45 anni, la leucocitosi (globuli bianchi superiori a 15.000/mL), la linfopenia (linfociti inferiori a 600/mL o all’8% dei leucociti totali), l’anemia (emoglobina inferiore a 105 g/L), albumina < 40 g/L, sesso maschile, ed il coinvolgimento di sedi extra-nodali alla diagnosi. Recenti studi hanno dimostrato inoltre come il risultato della PET/TC, eseguita precocemente durante la terapia, abbia un forte potere predittivo sull’andamento della malattia (Figura 3).

Figura 3: Immagini PET/TC.

Terapia

Negli ultimi 20 anni l’appropriato utilizzo degli schemi di chemioterapia, talora in associazione alla radioterapia, ha permesso di ottenere elevate percentuali di remissioni, sia negli stati iniziali che in quelli avanzati di malattia. Gli studi clinici eseguiti hanno consentito di abbandonare terapie gravate da elevata tossicità a breve e lungo termine (come, ad esempio, lo schema MOPP), prediligendo terapie meno tossiche ma di pari efficacia. Il trattamento standard che viene attualmente utilizzato è lo schema ABVD, costituito da 4 farmaci (Adriamicina, Bleomicina, Vinblastina e Dacarbazina) che vengono somministrati tramite infusione endovenosa (in una vena periferica o, preferibilmente, in una vena centrale tramite l’inserzione di un catetere venoso). Ciascun ciclo viene somministrato ogni 28 giorni (4 settimane); esso consiste in 2 somministrazioni a distanza di 15 giorni (2 settimane) (dal punto di vista pratico il paziente viene sottoposto a chemioterapia ogni 2 settimane). Negli stadi avanzati un’alternativa è lo schema BEACOPP escalated o baseline (Bleomicina, Etoposide, Adriamicina, Ciclofosfamide, Vincristina, Procarbazina, Prednisone), che permette di ottenere delle percentuali di risposta superiori ma è gravato da notevole tossicità, a breve e a lungo termine. Il numero di cicli e l’eventuale radioterapia sulle sedi coinvolte (involved-field) dipende dallo stadio della malattia alla diagnosi e dai fattori di rischio presenti: nei casi più favorevoli è possibile un programma di chemioterapia abbreviato, costituito da 2 cicli secondo schema ABVD, seguiti da radioterapia; fino ai 6 cicli degli stadi avanzati. Gli effetti collaterali più frequenti sono la nausea ed il vomito; l’effetto tossico sul midollo osseo, che si manifesta con una riduzione dei globuli bianchi (in particolare dei neutrofili); l’alopecia (ovvero la caduta dei capelli e dei peli) per l’effetto sui bulbi piliferi ed, infine, la spossatezza. Altri effetti di più rara insorgenza sono la comparsa di formicolii alle dita delle mani e dei piedi (segno di neurotossicità dovuta alla vinblastina), la cardiotossicità (dovuta all’adriamicina) che può portare a gravi quadri di cardiomiopatia fino allo scompenso cardiaco; la tossicità polmonare (bleomicina, specie se associata alla radioterapia); lo sviluppo di secondi tumori, sia ematologici che extra-ematologici.

Circa il 15-20% dei pazienti con stadio iniziale ed il 35-40% degli stadi avanzati non ottengono la remissione con la terapia di prima linea o manifestano una recidiva dopo il raggiungimento della remissione. La chemioterapia di salvataggio utilizzata consiste negli schemi IEV (Ifosfamide, Etoposide, Epirubicina), IGEV (Ifosfamide, Gemcitabina, Vinorelbina) o DHAP (Cisplatino, Citarabina ad alte dosi, Desametasone) con raccolta delle cellule staminali e successivo trapianto autologo. Per i pazienti che presentano una ricaduta di malattia dopo trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche, vengono utilizzati nuovi farmaci, come la bendamustina ed il brentuximab vedotin, seguiti da trapianto allogenico (da donatore familiare o da registro).

Numerosi sono gli studi clinici in corso (in Italia e all’estero) che stanno testando nuovi farmaci (inibitori delle iston-deacetilasi, inibitori di mTOR, immunomodulanti, etc) da soli o in associazione a protocolli standard di terapia, sia in prima linea che nei casi refrattari o in recidiva.

Studi in corso

Presso il nostro Centro sono attivi i seguenti studi multicentrici:

  • Studio GITIL-HD0607: ”Multicentre clinical study with early treatment intensification in patients with high-risk hodgkin lymphoma, identified as FDG-PET scan positive after two conventional ABVD courses”. Sponsor: Gruppo Italiano Terapie Innovative nei Linfomi (G.I.T.I.L.)
     
  • Studio FM-HD09-01: “Phase III study comparing Rituximab-supplemented ABVD (R-ABVD) with ABVD followed by involved-field radiotherapy (ABVD-RT) in LIMITED-stage (STAGE I-IIA WITH NO AREAS OF BULK) Hodgkin’s lymphoma”. Sponsor: Fondazione Michelangelo.
     
  • Studio 2P-HD10: ”Interim PET con studio di acquisizione a due tempi (2P-PET) effettuata dopo 2 cicli di chemioterapia con ABVD nel Linfoma di Hodgkin in stadio limitato con lesioni linfonodali “bulky” – 2P-HD10”. Sponsor dello studio: Fondazione Italiana Linfomi (FIL).

Leucemia Linfatica Cronica

La leucemia linfatica cronica (LLC) è una malattia linfoproliferativa cronica, caratterizzata dall’accumulo di piccoli linfociti maturi nel sangue periferico, nel midollo, nei linfonodi e nella milza. Per definizione è una patologia ad andamento cronico, ma la prognosi può essere estremamente variabile.

Epidemiologia

La LLC è la leucemia più frequente nella popolazione adulta occidentale, con un riscontro di circa 5 nuovi casi all’anno ogni 100.000 abitanti. Tale patologia interessa prevalentemente i maschi e la sua incidenza aumenta con l’avanzare dell’età; l’età media alla diagnosi è di circa 65 anni.

Dal 2008 la nostra Unità Operativa partecipa, assieme alle principali Ematologie del Veneto, alla creazione di un registro che raccoglie, in forma anonima, le principali informazioni cliniche relative ai pazienti affetti da LLC. Tale iniziativa, chiamata “Progetto Veneto per la LLC”, ha lo scopo di migliorare le conoscenze epidemiologiche e biologiche di questa malattia.

Eziopatogenesi

Tra le possibili cause vi possono essere alcuni fattori cancerogeni ambientali, come il benzene e le radiazioni ionizzanti, e alcuni fattori genetici. L’eziologia di questa malattia, tuttavia, non è ancora nota.

Sintomi

L’esordio e il decorso clinico possono essere estremamente variabili. La diagnosi spesso viene effettuata in pazienti asintomatici, attraverso esami di laboratorio effettuati per altri motivi. In altri casi vi può essere la comparsa di debolezza, calo di peso, febbricola, prurito e sudorazioni notturne, in associazione all’aumento delle dimensioni di linfonodi, fegato e milza. Talvolta  si possono riscontrare disturbi autoimmunitari o aumentata tendenza alle infezioni.

Diagnosi

La diagnosi si basa sull’esame dell’emocromo, sullo studio morfologico del sangue periferico e midollare e sull’analisi immunofenotipica dei linfociti. Il sospetto diagnostico generalmente origina dal riscontro di un persistente aumento dei linfociti (> 5.000/mmc). Altri esami sono eseguiti per determinare l’estensione della malattia e le eventuali complicanze ad essa correlate: latticodeidrogenasi, profilo proteico, dosaggio delle immunoglobuline, test di Coombs, studio della funzionalità renale ed epatica.

Per una corretta stadiazione della malattia è fondamentale un esame fisico del paziente, con particolare attenzione alla presenza di aree linfonodali ingrossate o di un aumento di volume del fegato e della milza. Esami radiologici più approfonditi (un ecografia del collo e dell’addome oppure una TAC total-body) potranno essere utilizzati per una valutazione più precisa. Potrà essere infine eseguito un aspirato midollare e una biopsia del midollo.

Stadiazione

I sistemi di stadiazione clinica sono il sistema di stadiazione secondo RAI e quello secondo BINET, che si basano sulla presenza della linfocitosi, anemia o piastrinopenia, e aumento delle dimensioni di linfonodi, fegato o milza.

Accanto alla stadiazione clinica, vi sono nuovi fattori prognostici che consentono di classificare il paziente in diverse categorie di rischio riguardo l’andamento della malattia. Al momento della diagnosi vengono effettuati dei prelievi ematici per individuare la presenza di alterazioni citogenetiche  (delezione a livello del cromosoma 11, 13 e 17), per la ricerca delle mutazioni del gene  IgVh e dell’espressione di CD38 o ZAP-70. Gli esiti di tali esami consentiranno di stabilire per il paziente il follow up più adeguato e, in caso di necessità, la terapia più efficace.

Evoluzione clinica

Durante la storia della malattia possono comparire  disturbi autoimmunitari, quali anemia emolitica, piastrinopenia autoimmune e, più raramente, manifestazioni autoimmunitarie della cute. A causa di un difetto immunitario acquisito, correlato alla malattia, vi può essere una più frequente insorgenza di complicanze infettive, sia batteriche che virali.

Vi è inoltre un aumentato rischio di neoplasie secondarie, soprattutto a carico della cute e della prostata ma anche sindromi mielodisplastiche e leucemie acute. Infine la LLC può trasformarsi in una patologia linfoproliferativa più aggressiva (Sindrome di Richter) associata ad un veloce peggioramento delle condizioni cliniche generali e alla rapida comparsa di linfoadenomegalie. In rari casi la LLC può trasformarsi in una leucemia prolinfocitica.

Terapia

Secondo le linee guida internazionali, la terapia per la LLC deve essere iniziata solo in caso di malattia sintomatica, cioè in presenza di aumento delle dimensioni di linfonodi, fegato o milza, in caso di comparsa di anemia o piastrinopenia o in caso di marcato aumento del numero dei linfociti fino al doppio in un tempo inferiore ai 6 mesi. Se non sono presenti tali segni o sintomi, il paziente sarà solamente seguito nel tempo con periodici controlli.

La terapia più opportuna verrà scelta in base all’età e alle condizioni cliniche del paziente. In pazienti di età inferiore ai 65 anni la terapia di prima scelta prevede l’utilizzo di uno schema chemio-immunoterapico, basato sull’utilizzo di Fludarabina, Ciclofosfamide e Rituximab. In caso di presenza delle delezione del braccio corto del cromosoma 17, verrà utilizzato anche l’Alentuzumab.

Nei pazienti di età superiore ai 65 anni, o affetti da severe patologie concomitanti, verrà preferita una terapia meno aggressiva, solitamente basata sull’utilizzo di Clorambucil, eventualmente in associazione a terapia steroidea.

In caso di recidiva o persistenza di malattia dopo la prima linea di terapia, vi è la possibilità di utilizzare diversi altri farmaci, quali Alentuzumab, Bendamustina, Pentostatina, Cladribina, Ofatumumab, Lenalidomide o altri nuovi farmaci tramite l’inserimento in protocolli sperimentali. In presenza di una malattia particolarmente aggressiva, refrattaria alle terapie e caratterizzata dalla presenza di alterazioni citogenetiche sfavorevoli, verrà considerato anche il trapianto di cellule staminali da donatore.

Emergenza Covid-19

Desideriamo comunicare a tutti i nostri soci e sostenitori che tutte le nostre attività promozionali (uova pasquali, colombe, …) sono ovviamente sospese in questo periodo di COVID-19.

Verranno così a mancare importanti risorse per la ricerca, devolute all’U.O. di Ematologia e Immunologia Clinica – Azienda Ospedaliera- Università degli Studi di Padova.

Chiediamo a tutti coloro che fino adesso ci hanno sostenuto di continuare ad aiutarci, ognuno secondo le proprie possibilità, e di coinvolgere il più ampio possibile numero di persone in una ideale catena di solidarietà.

Grazie ancora.

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